Cancellare graffiti è un lavoro del cazzo, ma qualcuno deve pur farlo.
Te lo ripeti ogni mattina da dieci anni a questa parte, ormai troppo vecchio per una promozione, troppo giovane per la pensione.
La segretaria, con la grazia dei suoi 180 chili, ti sbatte in faccia la lista dei luoghi da bonificare ed un “sei in ritardo, muovi il culo” al posto del buongiorno. Poi ricomincia a giocare a Candy Crush.
Raggiungi il furgone trascinando i piedi, la schiena curva.
Pioviggina.
Lasci cadere sul sedile del passeggero la borsa degli attrezzi, carichi l’idropulitrice e solventi vari. Delle protezioni te ne freghi, dopo dieci anni di solventi ormai non te ne importa più nulla.
Il cielo è grigio, come il tuo umore.
Colleghi in ordine sparso i punti ti segnati sulla cartina, parcheggi a caso, scarichi l’attrezzatura ed inizi a ripulire i muri dai graffiti.
Sudi e bestemmi sottovoce, mentre i ragazzini ti sputano addosso ed i radical chic ti insultano perché “stai distruggendo la massima expression d’una pulsante subculture artistica, un modern city activism che fa del disagio e della lotta al potere la sua rasond d’etre”.
Stringi i denti e tiri avanti, mentre immagini l’espressione confusa dei tuoi vicini al telegiornale, che ripetono alla telecamera “sembrava tanto una brava persona…“.
L’ultimo punto del tuo giro odierno. Finalmente.
Parcheggi. Scendi. Alzi gli occhi sulla parete
Alzi gli occhi alla parete e vedi la tua faccia.
E capisci in quell’istante che passerai le prossime quattro ore a cancellare la tua faccia, la tua stessa faccia da un muro.
Sorridi.
L’illuminazione arriva inaspettata come la seconda alba di Hiroshima.
Sorridi.
Sorridi, e quel tuo sorriso abbassa la temperatura nei dintorni di 5 gradi buoni.
Sorridi, e quel sorriso squarcia la barriera interdimensionale tra la Realtà e il Grande Oltre.
Il suono di mille violini impazziti fa da contrappunto ai tuoi gesti, mentre schiaffeggi con il cazzo il dio demente che balla al centro dell’Universo.