Padrone, non rifiutate la confessione della più abbietta fra le vostre serve.
Li ho visti muoversi, con passi impacciati, fuggendo l’incedere dell’alba. Li ho visti blasfemi, con oscuri riti, ombre su ombre tra ombre d’un sabba.
Li ho visti innestare, con certosina precisione, l’ossatura bizzarra ai grandi scheletri neri. Li ho visti accarezzare, con spessi guanti di pelle, gli spasmi epilettici dei loro blasfemi amori.
Li ho visti intrecciare, con spesse catene, le gole di fanciulle ai rami più alti. Li ho visti sorridermi, con ghigno euforico, tra i cespugli del luco.
Volete che anch’io sparisca, che mi tuffi alla ricerca del vostro compianto erede? Ma che cosa volete dall’esistenza squallida e vigliacca che era mia?
Non avrai più le mie braccia attorno il collo, né il mio petto sul tuo petto. Addio chimere, ideali, errori, sospiri. Addio agli spiriti tentatori tra le pieghe dell’alcova.
Vorrei essere il fanciullo abbandonato al limitar del bosco, che fugge e si slancia verso la bassa radura, il piccolo valletto ignaro che segue il clivo dolce della macchia fino all’orlo dell’abisso.
Non hai forse amato tu stesso, e non ho più nulla dietro di me, non ho più nulla dentro di me, ora che non sventolano più le bandiere multicolori nelle nebbie del mattino. Perché l’erede, l’erede è sparito!
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