Non mi lascerà, credo. Non mi lascerà, spero. Non mi lascerà, gemo.
Il suo nome è ‘Mai più’.
-E tu ti ubriacherai, darai una grande festa e questi signori se la spasseranno, danzando sulla tua testa!
Fu alla fine della serata che capii le orrende risate degli astanti. Mentre il parroco sbarrava le porte della chiesa. Come lupi che berciavano sotto le foglie, sputando le belle piume del loro pasto di pollame.
Che gli infermi e i vecchi sono tanto rispettabili, chiedono solo d’essere salvati.
Mi ricordo lo spesso portone, il legno dai riflessi rossastri, Mi ricordo la stanza di porpora con i vetri di carta, il lume d’un giallo brioche;
Spariti i genitori, i santi, il focolare della Trinità. Spariti i cori, gli inni e le chiavi. E dunque niente baci, niente dolci sorprese!
-Che fine ha fatto tutta la melodia cui il labbro da forma? Mi sono armato contro la giustizia. Conosco il lavoro; ne comprendo la scienza.
Fecero bruciare i palazzi. -anche il Signor Marino è poeta! Il sudore corre sulla ruggine, e si indigna se piango. -Cosa che non avrei mai pensato. Affonda nell’Oceano profondo dei Germi, dei Vermi, degli Eterni, fino a toccarne il fondo - il fondo di quei doni di Dio! -Tante parole, che avrà mai da dire? Il mio castello era l’Orsa Maggiore.
Fu così che amai un porco. Fu così che ebbi la sua anima.
Vediamo il nostro Angelo, mai l’Angelo di un altro. Abbiamo fede solo nel veleno.
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Letteratura automatica - 2021
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